Alla scoperta del Piemonte

Il Piemonte è una delle regioni italiane con la produzione di vino qualitativamente più ricca: il Piemonte appartiene al gotha delle più grandi zone vinicole del mondo, e il vino qui rappresenta cultura e tradizione profondamente radicate nel territorio, esperienza e conoscenza tramandate di generazione in generazione.
Se confrontato con le altre regioni d’Italia, dal punto di vista enologico il Piemonte rappresenta una sorta di eccezione: qui i vini sono per la maggior parte mono varietali, cioè prodotti con un’unica uva, e i vini prodotti con più uve, nonostante siano frequenti in diverse zone della regione, rappresentano la minoranza della produzione.
Inoltre la vitivinicoltura del Piemonte si basa spesso sul concetto di terroir e di cru celebre è l’esempio offerto da due grandi vini Piemontesi, il Barolo ed il Barbaresco, che rispecchiano fedelmente questo concetto produttivo.
Il territorio piemontese, nel suo alternarsi equilibrato tra zone montuose, collinari e pianeggianti è particolarmente variegato e valorizza il concetto di terroir. Il clima continentale, caratterizzato da escursioni termiche importanti assieme alle esposizioni favorevoli, porta a maturazione vitigni tardivi come il Nebbiolo, conferendo ai vini la struttura e la longevità che richiedono per raggiungere l’eccellenza.
In Piemonte il vino si produce da sempre, poi sotto la dominazione romana, la vite si è diffusa lungo i più importanti assi viari.
Nel Medioevo si identificavano già tutte le zone vinicole più vocate: nell’ VIII Secolo d.C. i canonici del Duomo di Casale disboscarono e piantarono viti, in particolare il barbesino, l’attuale grignolino, diventando per il Monferrato quello che i monaci di Cluny erano per la Borgogna.
La prima citazione del nebbiolo risale al 1268 ed è riferita alle vigne coltivate sulla collina morenica di Rivoli, alle spalle di Torino.
Poco più di un secolo dopo tocca ai nebbiolo dell’Alto Piemonte diventare celebri, grazie a Mercurino Arborio di Gattinara, giurista, diplomatico e ambasciatore del vino di Gattinara, che portò sulle tavole dei potenti d’Europa.
Solo nel XIX secolo i grandi rossi piemontesi assunsero i connotati che li hanno resi famosi nel mondo, su tutti il Barolo, che nacque grazie al lavoro di Cavour e dei suoi maestri di cantina al Castello di Grinzane, il Generale Francesco Staglieno e il francese Louis Oudart, oltre all’opera della Marchesa di Barolo.
Fino a quel momento la produzione dei vini Piemontesi era prevalentemente dolce: una tradizione che si ritiene dettata da motivi prevalentemente commerciali, quando la zona delle Langhe, da cui proviene il Barolo, era il maggiore fornitore di vini della potente repubblica marinara di Genova. Dalla città Ligure i vini prendevano la via del mare: pertanto un vino dolce riusciva a sopportare meglio le insidie dei lunghi viaggi marittimi assicurando una migliore conservazione.
La fillossera, la forte frammentazione della proprietà contadina, la I Guerra Mondiale che svuotò le campagne e la massiccia emigrazione verso le Americhe, caratterizzarono la prima metà del XX secolo: il vino piemontese non morì, ma iniziò a muovere i primi passi verso la tutela della qualità. Per combattere il moltiplicarsi delle frodi, già alla fine del XIX secolo i produttor delle zone storicamente più vocate chiesero di delimitare le principali zone di produzione: nel 1909 il Comizio Agrario albese definì i confini di produzione del barolo.
Dopo la I Guerra il vigneto piemontese si ristrutturò, con un boom di impianti nelle Langhe e nel Monferrato, ma soprattutto di varietà resistenti alla fillossera come barbera, dolcetto e freisa.
Negli anni ’80 la svolta: nel Roero riprese con grande successo la coltivazione dell’arneis, nelle Langhe e nel Monferrato una nuova generazione di vignaioli decise di cambiare stile e immagine al barolo e alla barbera d’Asti: non più nebbiolo austeri con lunghi tempi di evoluzione, non più barbera facili e quotidiane, ma vini più strutturati e adatti ai mercati internazionali.
Nacque la contrapposizione fra la filosofia dei tradizionalisti e degli innovatori.

 

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